venerdì 8 novembre 2013

Questione di consapevolezza

Oggi vi racconterò come si svolge la mia giornata media (e voi direte …ecchissenefrega!!!)

Al mattino mi alzo verso le sette, mi lavo, faccio una veloce colazione, mi vesto e scendo a prendere l’autobus, arrivo in ufficio, prendo un caffè, mi dedico al lavoro, terminata la giornata di lavoro, ritorno a casa, mangio , pratico aikido e vado a dormire.




Ora molti di voi staranno pensando “che tristezza, tutti i giorni le stesse cose, ogni giorno uguale all’altro”.



Bene, proprio lì volevo arrivare.

Non metto in dubbio il fatto che ci sia una certa routine, ma cosa fa diventare veramente un giorno diverso da un altro?
Il fatto che accada qualcosa di nuovo ci fa rendere una giornata diversa da un'altra.

Ma possiamo mai passare la vita in maniera passiva, aspettando che ci capiti davvero qualche evento che ci dia una botta di vita e ci renda una giornata diversa dalle altre? Sarebbe molto triste vivere così, significherebbe non essere padroni della propria vita ed aspettare che capiti qualcosa di insolito.



Io credo che il vero segreto sia la consapevolezza.
Ogni momento della nostra vita, accadono infinite cose, che non sappiamo cogliere perché viviamo in maniera automatica e passiva, come quando al mattino ci laviamo il viso, ci stiamo rendendo veramente conto che ci stiamo lavando il viso o ci buttiamo semplicemente acqua in faccia?


Il segreto è vivere nella piena consapevolezza di sé, essere più presenti in ogni gesto che facciamo, renderci conto che c’è sempre un mondo intorno a noi, solo così ogni gesto sarà unico, perché ogni attimo sarà diverso da un altro.

"Un colpo, una vita".


lunedì 28 ottobre 2013

Piacevole storiella

Sono stato contattato da un amico/allievo il quale mi ha girato la storiella che porto di seguito, consapevole del fatto che io l'avrei apprezzata.

Tutto ciò mi ha dato da pensare, significa che quello che stiamo facendo a lezione funziona, i ragazzi stanno lavorando molto sull'approccio mentale ai problemi, sulla capacità di saper guardare il mondo da prospettive diverse e che forse anche in situazioni apparentemente impossibili, una via d'uscita si può sempre trovare.


E’ una giornata uggiosa in una piccola cittadina, piove e le strade sono deserte.
I tempi sono grami, tutti hanno debiti e vivono spartanamente.
Un giorno arriva un turista tedesco e si ferma in un piccolo alberghetto.
Dice al proprietario che vorrebbe vedere le camere e che forse si ferma per il pernottamento e mette sul bancone della ricezione una banconota da 100 euro come cauzione.
Il proprietario gli consegna alcune chiavi per la visione delle camere.
1. Quando il turista sale le scale, l’albergatore prende la banconota, corre dal suo vicino, il macellaio, e salda i suoi debiti.
2. Il macellaio prende i 100 euro e corre dal contadino per pagare il suo debito.
3. Il contadino prende i 100 euro e corre a pagare la fattura presso la Cooperativa agricola.
4. Qui il responsabile prende i 100 euro e corre alla bettola e paga la fattura delle sue consumazioni.
5. L’oste consegna la banconota ad una prostituta seduta al bancone del bar e salda così il suo debito per le prestazioni ricevute a credito.
6. La prostituta corre con i 100 euro in albergo e salda il conto per l’affitto della camera per lavorare.
7. L’albergatore rimette i 100 euro sul bancone della ricezione.
8. In quel momento il turista scende le scale, riprende i soldi e se ne va dicendo che le camere non gli piacciono e lascia dalla città.
- Nessuno ha prodotto qualcosa
- Nessuno ha guadagnato qualcosa
- Tutti hanno liquidato i propri debiti e guardano al futuro con maggiore ottimismo



mercoledì 23 ottobre 2013

Io faccio Aikido


E’ strano il mondo, figuriamoci poi il mondo virtuale…


E’ sempre altissimo il numero di pseudo-litigi che si vedono in rete, capita sovente che qualcuno un giorno si sveglia con una bandiera in mano e sostiene che c’è gente che sbaglia e gente che fa bene, e gli altri che stanno lì a guardare decidono con che bandiera stare, e si creano mini-fazioni, gente che da un semplice o complicato commento cominciano a sollevare questioni assurde e litigare tra loro.


Beh sapete che vi dico?
Io faccio Aikido.


Non mi interessa chi fa parte di una federazione, chi è dan X e chi è cintura Y, non mi interessa sapere che c’è gente che gira il mondo per cercare di fare stage, non mi interessa sapere da quanti anni la gente si allena.
Decido chi seguire come insegnante, mi alleno e spero che qualcuno decida che un giorno possa essere io ad insegnare qualcosa.


Tutto qui; sarebbe molto più semplice se si scegliesse di praticare con questo spirito. E non parlo solo di pratica di arti marziali, parlo proprio di approccio al mondo.


Non posso pretendere che il mondo abbia il mio stesso punto di vista, anche perché sarebbe un mondo tristissimo se tutti guardassimo le cose dalla stessa prospettiva.



Non vi sto parlando qui di chiusura mentale del tipo “Non mi importa di quello che accade, io faccio questo e non voglio sapere niente!!!” sto parlando di qualcosa del tipo “Se tu hai scelto questa strada, per me va bene, ma io ho scelto qualcosa di diverso e se vuoi ti spiego perché”.

giovedì 3 ottobre 2013

Possibilità


Impegnarsi in qualcosa è lodevole ed è molto interessante scoprire quanto si possa essere più o meno bravi nel farlo.
Ora assodato che la bravura è un pregio, proviamo ad andare oltre.
Non voglio fare un discorso sulla qualità, voglio parlare delle possibilità.



Ho partecipato poco fa ad un interessantissimo stage di aikido, che mi ha insegnato a vedere le cose da una prospettiva diversa.

Possibilità significa avere la facoltà di poter cambiare, avere la facoltà di scegliere, sentire ciò che ci accade intorno ed adattarci continuamente, essere sempre liberi di poter fare qualcosa, non si tratta di fare bene qualcosa, ma si tratta di poter fare qualcosa.

Non nego che fare bene qualcosa sia importante, ma quando riusciremo a poter fare qualcosa che è in armonia con ciò che ci circonda allora saremo veramente liberi.



Si tratta di rompere gli schemi, di sentirsi sempre liberi, ma non è una libertà del tipo "Ma che me ne frega, io lo faccio lo stesso", piuttosto è una libertà che ci offre la possibilità di adattarci continuamente al mondo che cambia, così come il fiume non si ferma mai e si adatta a tutto ciò che incontra nel suo cammino.





martedì 17 settembre 2013

Proposta di lettura

Salve a tutti,
oggi diamo un po' di "consigli per gli acquisti" come diceva qualcuno.
Tempo fa passeggiavo in libreria alla ricerca di qualcosa di nuovo da leggere, all'improvviso mi è capitato tra le mani un libro, comincio a vedere la copertina, leggere il titolo, sfogliare qualche pagina e nonostante una leggera vena di scetticismo, decido tuttavia di comprarlo e tuttora non ne sono pentito.
Quindi per tutti gli appassionati, per coloro che hanno voglia di conoscere qualche aspetto storico in più sui samurai, per gli addetti ai lavori o per i semplici curiosi, se vi interessa un po' di storia del Giappone e dei samurai, vi consiglio di leggere il seguente libro.



giovedì 4 luglio 2013

Matera, le chiese rupestri e l'equilibrio.

Pochi giorni fa sono stato a Matera, una città incantata, favolosa, piena di magia e cultura.


Mentre percorrevo le stradine di questa città, mi sono imbattuto in alcune chiese dalla architettura rarissima, le cosiddette chiese rupestri.
Ho scoperte che queste chiese sono sviluppate in negativo, nel senso che piuttosto che aggiungere elementi architettonici come la colonna, l’arco, la trave e così via, come siamo abituati a vedere nella maggior parte delle chiese, per le chiese rupestri invece viene tolto tutto ciò  che non serve fino a dare vita e forma alla colonna, all'arco ed alla trave.



In pratica si tratta di chiese scavate nelle grotte, dove lo scavo partiva dall'alto verso il basso e si eliminava dalla grotta tutto ciò che non serviva, lasciando solo gli elementi architettonici che servivano alla chiesa.
In pratica la chiesa già esisteva e si trovava già nel luogo esatto in cui doveva essere, bisognava solo togliere tutto quello che non serviva.


La scoperta di tale scelta architettonica mi ha stupito tantissimo, ma c’era allo stesso tempo qualcosa che mi lasciava perplesso, mi rendevo conto che questo principio non mi era nuovo, ero certo che quest’idea l’avevo adottata e usata più volte ma non ne ricordavo il contesto.

Alla fine capii che erano addirittura due i contesti in cui io usavo lo stesso principio.

Partiamo dal più semplice, l’associazione con il principio zen di liberare la mente è abbastanza ovvio, si tratta di togliere dalla nostra mente tutte le idee superflue, i concetti trappola, i pensieri inutili, che creano una rete nella nostra mente e non permettono pertanto ai pensieri “puri” di fluire liberamente, non permettono di avere una apertura ed una predisposizione mentale.
In pratica la capacità di sapere accettare gli eventi della nostra vita, qualsiasi essi siano, è già dentro di noi, si tratta solo di togliere tutte quelle idee che non ci permettono di viviere serenamente, si tratta di aprire la nostra mente, lasciando correre i nostri pensieri.



Seconda analogia.
Siamo abituati a pensare che, durante un combattimento qualunque o durante la pratica di un arte marziale, l’attacco o meglio ancora il contrattacco, debba essere necessiariamente un “colpo” da sferrare all’altra persona.
Ad onor del vero, spesso è così, ma non sempre, almeno per me.
Sto studiano ultimamente una tipologia di allenamento, molto orientata alle sensazioni, cerco, attraverso un contatto con il partner, di capire dove si concentra la sua forza, e di conseguenza cerco di sfruttare questa sensazione per portarlo in una situazione di squilibrio, senza mai perdere il contatto.
Si arriva così a creare una situazione di stallo, una situazione di equilibrio in cui Uke e Tori formano una struttura unica, ma mentre Tori sarebbe in equilibrio anche da solo, Uke non ha un suo equlibrio, e lo trova poggiandosi sul punto di contatto che c’è tra i due, caricando tutto il suo peso su questo punto di contatto, ma per lui tale contatto è passivo, non ne è padrone, ma schiavo, in quanto è l’unica cosa che lo separa dalla perdita totale dell’equilibrio.

Per Tori invece, che è in perfetto equilibrio, tale punto di contatto è attivo, ne è padrone, perchè sarebbe in equilibrio con o senza quel contatto, ed ecco che gli basta “togliere” qualcosa per finire il suo contrattacco, la sua tecnica.



"Non è tanto importante cosa mettiamo o cosa togliamo, quello che conta di più è ciò che lasciamo..."

martedì 4 giugno 2013

Perché l'Aikido?

Tra le tante attività che si possono praticare, perché ho scelto proprio l’Aikido?
Potevo decidere di fare un corso di taglio e cucito, il giocatore di bocce, il lanciatore di coriandoli alle sagre paesane…



Credo che uno dei motivi principali che ci spinge a scegliere l’Aikido sia da ricercare nella sua peculiarità di non avere competizioni e gare, quindi mi sentirei di escludere l’aspetto prettamente sportivo- agonistico e quindi la voglia di primeggiare sugli altri.



Un altro motivo che escluderei è l’aspetto della difesa personale, per quanto si possa essere bravi nella pratica, credo che buona parte dei praticanti di Aikido non passi la propria vita aspettando la tanta attesa aggressione da strada che gli permetta di fare vedere quanto è bello un ikkyo sull’asfalto.




A questo punto dopo aver capito alcuni motivi che possano spingere a scartare l’aikido, mi viene da chiedermi cosa invece potrebbe farlo scegliere?
Torniamo così alla domanda iniziale.

Perché l’aikido?

Ritengo che l’aikido sia uno strumento, un mezzo che ci aiuti a lavorare su noi stessi.
L’assenza di competizione con gli altri, di cui parlavo prima, credo che vada rivalutata, in quanto la competizione esiste, ma non verso gli alti, bensì verso se stessi.
Tale competizione non cerca di prevalere sull’altro ma nasce con l’obiettivo di aiutarci a capire come possiamo affrontare le nostre paure, come essere padroni di noi in situazioni di difficoltà, come essere migliori di ciò che siamo.




In sintesi posso affermare di aver scelto l’aikido in quando eterna ricerca di miglioramento della mia persona.

mercoledì 15 maggio 2013

I samurai, Batman e la fede



I samurai, tanto osannati dal cinema, dai libri e dai fumetti, cosa sono?Chi sono?

Non stiamo parlando di altro che militari, ma molto lontani dalla concezione occidentale di militare.








Partiamo da un analisi etimologica.
Il termine samurai, deriverebbe dal verbo "saburau", il cui significato è "servire o tenersi a lato".
Per oggi diciamo che ci basta questo, poi più in là potremmo decidere di approfondire l'argomento.

Il samurai serviva il proprio daimyō o shogun in maniera cieca, avendo una fede incrollabile verso chi dovevano servire, mettendo addirittura la loro vita in secondo piano rispetto ai favori del proprio signore.


Infatti un samurai che perde il proprio signore, perchè ne tradisce la fiducia o causa morte del signore stesso, viene chiamato "Ronin", termine che ancora oggi è usato in maniera dispregiativa in oriente.


Ora facciamo un salto spazio-temporale, ci troviamo negli Stati Uniti intorno alla fine degli anni trenta (ebbene sì, il tanto moderno Batman ha più di 70 anni).




Un bambino va al cinema per vedere “Il segno di Zorro”, ed all’uscita dal cinema assiste alla rapina che sfocierà nell’omicidio dei suoi genitori, condizionando tutta la sua vita.







Il bambino non si da pace, inizialmente vive nel tormento e nella sofferenza, ma questo dolore ad un certo punto lascia la strada alla razionalità, il bambino comincia a credere che ciò che è accaduto a lui non dovrebbe accadere a nessun’altro e dedica tutta la sua vita alla lotta contro il crimine.
Dedica tutta la sua vita ad un ideale, ad una fede, disinteressandosi completamente di tutto. Trascorre una vita da recluso, il suo unico scopo è sconfiggere il crimine, ed è talmente forte la sue fede che capisce addirittura di non potersi legare a nessuno sentimentalmente (e questo ha fatto “suppore” a molti critici un rapporto omosessuale con Robin...)






Bruce Wayne ha capito qual è il suo ideale, la sue fede ed ha deciso di indossare una maschera per perseguire il suo obiettivo, anzi sono in molti (me compreso) ad avere il dubbio che non sia Batman l’alter ego di Bruce Wayne, bensì il contrario, la forza di volontà è diventata talmente radicata che la vera maschera è quella del milardario Bruce Wayne e la vera natura dell’uomo è quella di Batman.




Ora non vi sto dicendo di diventare dei sociopatici affetti da crisi di disturbo bipolare, oppure di indossare una calzamaglia per andare di notte a combattere il crimine, o di uscire con una katana per lavare con il sangue tutte le onte subite.

Credo solo gia giusto porsi delle domande
“In cosa crediamo veramente?Quali sono nella vita i nostri ideali, la nostra fede?Per  cosa siamo veramente disposti a batterci?”





"Solo se si possiede un'alta formazione agli ideali, un'incrollabile fede e un profondo senso del dovere si riuscirà a superare le prove più aspre della vita."



martedì 23 aprile 2013

Strumenti VS Soluzione 1-0

So che potrebbe sembrarvi strano ma io ho frequentato la scuola elementare.

Tornando indietro con i ricordi mi chiedo come potrebbe essersi evoluta la mia istruzione se le cose fossero andate diversamente.

Questa storia comincia così:


C'è una quinta dimensione oltre quelle che conosciamo. È una dimensione vasta come lo spazio e senza tempo come l'infinito. È l'incerta zona di confine fra luce e ombra, scienza e superstizione, a metà strada fra le paure più profonde dell'uomo e l'apice della conoscenza. È la dimensione dell'immaginazione, e si trova... ai confini della realtà




Compito in classe di matematica.

Se un contadino si reca al mercato e compra 5 kg di mele,  al ritorno dal mercato trova un sacco per terra con 1 kg di mele ed arrivato sotto casa incontra un amico che non avendo venduto tutte le proprie mele gli regala un altro kg di mele.

Quanti kg di mele avrà il contadino?

Armato di carta e penna scrivo sul foglio:

5+1+1 = 8

Con la stessa soddisfazione di chi ha scoperto la fusione atomica consegno il mio compito, ma tutte le mie aspettative da scienziato vengono meno quando vedo un enorme tratto rosso sul foglio con una correzzione

5+1+1 = 7


Con la coda tra le gambe me ne faccio una ragione e capisco che

1)non ho scoperto la fusione atomica
2)5+1+1 = 7

Qualche giorno dopo mi capita un episodio insolito, dopo aver raccontato a mio padre del compito in classe, lui mi risponde così
    "Vabbè poco male se hai sbagliato, l'importante è capire i propri errori e correggerli. Ora sono certo che tu sappia quanto fa 5+1+1, vero?
Ed io rispondo prontamente ed orgoglioso
    "7!!!"
E lui mi fa
    "Ed invece quanto fa 5+2?"

Improvvisamente una nuvola nera di disperazione mi avvolge ed io mi ritrovo solo ed abbandonato con il mio quesito "Quanto farà 5+2?"




Non ho la più pallida idea di quale sia la risposta.


Tutto ciò può accadere ogni volta che ci limitiamo a fare una correzione senza darne le giuste motivazioni, senza dare all'allievo gli strumenti che gli permetteranno di capire

1)Quando si sta sbagliando
2)Perché si sta sbagliando.




"Dai un pesce a un uomo e lo nutrirai per un giorno.
Insegnagli a pescare e lo nutrirai per tutta la vita."


mercoledì 20 marzo 2013

Lo Zen e il tiro con l'arco


“...Il tiro con l’arco ora come allora è una faccenda di vita o di morte, in quanto è lotta dell’arciere con se stesso; e una lotta di questo genere non è un mistero surrogato, ma il fondamento di ogni lotta rivolta all’esterno – e sia pure contro un’avversario in carne e ossa.

Se partendo da qui si chiede ai maestri d’arco come vedano e rappresentino questa lotta dell’arciere con se stesso, la loro risposta apparirà del tutto enigmatica. Perchè per essi la lotta consiste nel fatto che il tiratore mira a se stesso – eppure non a se stesso – e ciò facendo forse coglie se stesso – e anche qui non se stesso – e così insieme miratore e bersaglio, colui che colpisce e colui che è colpito. Oppure, per servirmi di espressioni care a quei maestri, bisogna che l’arciere, pur operando, diventi un immobile centro....”

                                            
   Da “Lo Zen e il tiro con l’arco” di Herrigel Eugen



Questo brano letto e riletto tante volte, mi è sempre rimasto dentro, lo stesso principio espresso in questo brano va applicato allo studio delle arti marziali.

Non ha senso allenare esclusivamente la forza fisica, altrimenti ci stiamo affidando ad una pratica che funziona solo fino a quando non incontriamo qualcuno più forte di noi.



La vera forza di un buon allenamento è la padronanza di sé.



Mentre ci stiamo allenando ci possiamo permettere di capire e distinguere un movimento corretto da uno sbagliato, ma in una situazione di pericolo non abbiamo nè il tempo nè probabilmente la lucidità per farlo.

In questa situazione se siamo fermi a pensare cosa sarebbe giusto o sbagliato fare allora abbiamo perso in partenza, dobbiamo solo dare libertà al corpo di agire, e la tecnica troverà da solo il bersaglio, come avviene per la freccia dell’arciere zen.



Per poter lavorare in questo modo c’è bisogno di sentire l’avversario, sentirlo attraverso le nostre braccia, le nostre mani, le nostre gambe, dobbiamo mettere in ascolto il nostro corpo, il quale attraverso le sensazioni date dal nostro avversario ci permette di trovare una nostra via di espressione, piuttosto che decidere a priori cosa fare.





mercoledì 6 marzo 2013

L'allenamento, il giubbino e la pelle.


In una giornata qualunque, andando in giro per fare un po' di spese mi trovo a passare davanti ad una vetrina di un negozio di abbigliamento.
Rimango molto colpito da un giubbino, mi piace, cattura subito la mia attenzione, in particolar modo resto attratto dal fatto che calza molto bene, il modo in cui il manichino indossa il giubbino è perfetto.




Preso da questo entusiasmo entro nel negozio e chiedo alla commessa di voler provare il giubbino in questione e appena lo indosso mi piazzo davanti allo specchio, beh a questo punto non potreste mai immaginare lo stupore dipinto sul mio volto, quel giubbino mi sta da schifo, largo, lungo, grinze ovunque, insomma mi rendo conto di indossare uno straccio.
Preso dallo sconforto comincio a guardarmi attorno cercando la commessa per dirle che ho cambiato idea e mentre la cerco noto che ci sono nel negozio tanti altri clienti che alla ricerca di qualcosa, indossano diversi capi di abbigliamento.
Mi accorgo così che ci sono capi di abbigliamento uguali che stanno malissimo ad alcuni mentre ad altri calzano bene, un po' com'era accaduto a me.

Uscendo dal negozio mi chiedo "ma cosa pinge a comprare un capo di abbigliamento piuttosto che un altro?" La risposta mi arriva subito
1) deve essere funzionale, se fa caldo acquisterò una polo, una camicia, una t-shirt, se fa freddo magari ho bisogno di un maglione, una giacca a vento e così via, in pratica il primo obiettivo e capire a cosa deve servire il capo di cui ho bisogno.
2) mi deve piacere, mi deve stare bene addosso, deve calzarmi bene a pelle.

Dopo aver capito tutto ciò ho un illuminazione enorme, ho pensato subito "ma questo è ciò che deve accadere anche nell'allenamento".


Un insegnante deve insegnare i principi che ci sono dietro la tecnica e lasciare libertà di espressione all'allievo.
Non deve imporre la propria scelta di fare una tecnica in un determinato modo solo perché è lui stesso a farla, io per esempio siccome sono abbastanza alto ho imparato con il tempo a fare shiho-nage in un certo modo perché era improbabile che potessi passare sotto al braccio di uke, ma ovviamente non ha senso che insegni a fare la tecnica in questo modo ad un allievo alto 1.65 m, ha senso che io gli insegni i principi di shiho-nage ed i principi che gli insegneranno come imparare a scegliere una forma piuttosto che un altra.

Diffidate dalle persone che vi impongono le proprie forme senza farvi capire ciò che c'è dietro, d'altra parte voi comprereste mai un giubbino solo perché a qualcuno calza bene e a voi sta malissimo?

L'allenamento è una questione di pelle, bisogna capire cosa riusciamo ad indossare bene.

mercoledì 20 febbraio 2013

A volte ritornano...


Tempo fa scrissi un post, quando questo blog ancora non esisteva, ed approfittai del blog del mio amico Fabio Branno per postarlo.

Ultimamente mi capita spesso di ripensare al post che scrissi, forse perchè il tema che affrontai è sempre presente nei miei pensieri, non riporterò tutto il post sul mio blog, ma per comodità, se a qualcuno fosse sfuggito, inserisco il link al blog di Fabio Branno per andare a leggerlo.

La leggerezza del piombo, la pesantezza della piuma.

venerdì 15 febbraio 2013

Video Aikido Febbraio

Sabato 09 febbraio mi sono divertito con il mio amico Diego Thomas a fare un po' di allenamento.
Dopo l'allenamento siamo riusciti a montare questo piccolo video, lo pubblico nella speranza che possa essere d'aiuto agli altri così come lo è stato per noi.



lunedì 4 febbraio 2013

Errori e obiettivi

Tanti anni fa mi tratteni a fine lezione con uno dei miei insegnanti di aikido, mi ricordo che capitava spesso, ed era una cosa piacevolissima, c’era l’abitudine di parlare di qualunque argomento ed ogni volta era una scoperta nuova.

Una volta si parlava di esami di aikido ed esami dell’università, dell’impegno che uno dedica alla preparazione di tali esami e il mio insegnante mi disse “Ricorda Fabio che essere bocciati ad un esame è un diritto.”



Non nascondo che in quel momento rimasi completamente interdetto, ho subito pensato “Ma cosa dice?Se io mi dedico anima e corpo ad un esame, come posso pensare che è mio diritto essere bocciato?”
Non riuscivo a capire, non perché non concepivo il fatto che essere bocciati poteva essere un diritto, non capivo per il semplice fatto che non concepivo il fatto di poter essere bocciati. 

Ma quando mi resi conto che essere bocciati non era un’offesa o un’umiliazione, bensì una correzione, capì le sue parole, e mi si aprii un mondo nuovo.

Non dobbiamo vedere i nostri errori come dei limiti invalicabili, come uno sbaglio senza possibilità di uscita.
I nostri errori hanno senso se ci possono insegnare qualcosa, dai propri errori abbiamo tantissimo da imparare se li vediamo con occhi critici, mentre abbiamo tutto da perdere se non ne sappiamo riconoscere la vera essenza.



Povero è colui che non vede i propri errori.

In genere quando commettiamo un errore, piuttosto che imparare dall'errore e correggere ciò che si è sbagliato, continuiamo a pensare all'errore come una mortificazione, e ci portiamo dietro il “lato oscuro” dell’errore, e mentre facciamo altro continuiamo a pensare a questo “lato oscuro” dell’errore, restandone infangati e non riuscendo più ad uscirne.



Mi capita di vedere ciò quando qualche allievo durante la pratica commette un errore nella ripetizione di un kata e piuttosto che andare avanti fino alla fine del kata, mettendo da parte quell'errore per poi esaminarlo dopo, mi accorgo che la sua mente è completamente presa da quell'errore durante tutta l’esecuzione del kata, e ciò non lo rende libero dall'errore, ne resta imprigionato.


"Non vale la pena avere la libertà se questo non implica avere la libertà di sbagliare."


lunedì 14 gennaio 2013

Sincerità


Non esiste la ricetta perfetta per l’amore eterno, non esiste la ricetta perfetta per l’amicizia incondizionata,non esiste la ricetta perfetta per andare d’accordo con gli altri.



E’ vero, non esiste una ricetta perfetta, ma esistono sicuramente degli ingredienti fondamentali, come il rispetto, la fiducia, la sincerità.


Concentriamoci per ora sulla sincerità.



Sincéro: dal latino sincerus, composto da sin-e, senza e cera.

Terenzio definisce questa voce: purum sine fuoco, et simplex, ut mel sine cera. Questo etimo, se vero, potrebbe anche significare senza vernice, senza liscio, senza maschera, scevro di finzione. Senza cera probabilmente diveniva da un modo antico di fare scultura: quando lo scultore non usava la cera per tappare eventuali errori di scalpello, essa stessa diventava un'opera ancor più pura e perfetta. Affascinante e semplice.Ovvero qualcosa di puro all’origine.


Credo che per costruire un buon rapporto interpersonale ci sia bisogno “almeno” di sincerità.
Inizialmente ho parlato di amore e amicizia, ma proviamo ora ad aprire la nostra mente.
Un rapporto interpersonale è appunto un legame che si crea tra due persone.


Quando io pratico aikido con qualcuno, prima o poi, inevitabilmente, uno dei due farà partire un attacco, da quest’ultimo è presumibile che nasca una risposta.
Nel preciso momento in cui la risposta intercetta l’attacco, si crea un contatto.



A tal punto mi chiedo, possiamo considerare questi contatti una forma di rapporti interpersonali?
(Seppure più brevi e con meno aspettative dei rapporti ai quali siamo abituati a pensare).
Se la risposta per qualcuno di voi è “Sì”, allora perchè non cerchiamo di essere sinceri anche in questa forma di rapporto interpersonale?

Una delle prime difficoltà che si incontrano nell’allenamento è il fatto di “dover” eseguire una dovuta tecnica quando magari l’attacco è inefficace, senza intenzione, senza volontà.

Si crea in tal modo una scenario in cui per creare qualcosa di concreto bisogna ricorrere a qualche artificio, a qualche “trucco” per mettere in pratica la tecnica di cui sopra, ma abbiamo detto precedentemente che la sincerità è insita nelle cose pure all’origine, senza necessità di ritocchi.
Viene a crearsi così un circolo vizioso in cui Uke non attacca in maniera sincera e Tori è costretto a difendersi in maniera meno sincera.

Per essere corretti bisogna praticare sempre sinceramente.

Molti credono che la sincerità sia un atto di dovere verso gli altri, io credo che la sincerità sia piuttosto un atto di dovere verso se stessi.

"La sincerità non consiste nel dire, ma nell'intenzione di comunicare la verità."
Samuel Taylor Coleridge