Dal collo in giù,l'uomo vale un paio di dollari al giorno. Dal collo in su, vale qualunque cosa la sua mente sia in grado di produrre.
("Thomas Edison")
Alcuni
metodi di insegnamento delle arti marziali hanno ereditato un approccio
orientale, il quale prevede che un allievo non debba farsi troppe domande su
quello che gli si sta insegnando, ma deve riporre una fiducia innata nel suo maestro
e ripetere lo schema che l’insegnante gli mostra senza chiedersi il perchè,
senza chiedere se è efficace o meno, senza chiedersi se quello che fa ha senso
oppure no.
Questo metodo di insegnamento non
è del tutto scorretto, ma va contestualizzato.
In oriente la pratica delle arti
marziali è (o sicuramente era) diversa dalla nostra. Tendenzialmente chi
pratica oggi, dedica qualche ora a
giorni alterni alla pratica, a differenza di quanto veniva fatto in oriente in
passato, essendo lì la pratica molto più continuativa della nostra.
Ora il punto è che applicare il
loro stile di insegnamento al nostro contesto non sempre può risultare
soddisfacente.
Infatti la nostra pratica “saltuaria” non permette di costruire
un rapporto di continuo dare/avere tra maestro e allievo.
Questo metodo di insegnamento inoltre
può anche avere un effetto controproducente: la crezione dell’allievo-automa.
Mi è capitato di vedere
praticanti di aikido che non hanno la più pallida idea di quello che gli si
chiede di fare e ripetono pedissequamente (o almeno ci provano) ciò che l’insegnante
gli ha mostrato.
Immagino che se l’insegnate
chiedesse agli allievi di mettersi un dito in un orecchio e cominciare a
saltare per 5 minuti, gli allievi magari lo farebbero.
Ovviamente dietro ad un
insegnamento del genere può esserci anche un criterio fondato, infatti si narra
che Ōsensei era solito comportarsi così:
Ōsensei mostrava una forma di ikkyo, un allievo gli
chiedeva di fargliela vedere perchè c’era qualche dettaglio di Ikkyo che non
era riuscito a mettere a fuoco ed Ōsensei senza dire una parola ripeteva la tecnica davanti
agli occhi dell’allievo, peccato però che gli faceva vedere tutt’altro, magari
faceva Shiho Nage o Kote Gaeshi.
Non starò qui a spiegarvi perchè
lo faceva, a ciascuno lo propria interpretazione, vi lascio solo la seguente
raccomandazione:
APRITE GLI OCCHI!!!!
Diffidate di chi non sempre vi
mostra il perchè delle cose.
Anche quando tutto vi sembra chiaro,
cercate di vedere le cose sempre da diverse prospettive.
Prima di poter insegnare qualcosa
agli altri bisogna essere in grado di insegnare qualcosa a se stessi.
Condivido pienamente il pensiero...nel lavoro e nella vita...
RispondiEliminaBisogna imparare tanto dai "maestri" ma bisogna anche essere in grado di costruirsi un proprio pensiero...
E soprattutto mettere in moto il proprio cervello prima di agire...
Brava!Il maestro indica la strada ma è l'allievo che la deve percorrere.
RispondiEliminaSono daccordissimo.
RispondiEliminaNe approfitto per ribadire il pensiero nel mio ambito lavorativo (non scenderò nei dettagli tecnici):
Sono uno sviluppatore software e un giorno un mio analista tecnico mi diede un documento di una pagina con un insieme di cose da fare, io non capivo il perchè e iniziai a farle come un automa... Dopo un po mi ribellai, capii che avevo una mia volontà e cambiai il modo di fare, l'analista mi aprì la mente, ma ero io a dover scegliere la mia strada...
Alla fine sapete come finì? il mio analista cambiò e diventò manager e ne venne un altro che prese spunto da quello che avevo fatto e stilò un documento di 50 pagine copiando il mio operato!!!
Questo per dire che, copiando Fabio e riportandolo alla mia realtà, il maestro (analista) ti apre la mente, ma poi devi essere tu a seguire la tua strada...