giovedì 4 luglio 2013

Matera, le chiese rupestri e l'equilibrio.

Pochi giorni fa sono stato a Matera, una città incantata, favolosa, piena di magia e cultura.


Mentre percorrevo le stradine di questa città, mi sono imbattuto in alcune chiese dalla architettura rarissima, le cosiddette chiese rupestri.
Ho scoperte che queste chiese sono sviluppate in negativo, nel senso che piuttosto che aggiungere elementi architettonici come la colonna, l’arco, la trave e così via, come siamo abituati a vedere nella maggior parte delle chiese, per le chiese rupestri invece viene tolto tutto ciò  che non serve fino a dare vita e forma alla colonna, all'arco ed alla trave.



In pratica si tratta di chiese scavate nelle grotte, dove lo scavo partiva dall'alto verso il basso e si eliminava dalla grotta tutto ciò che non serviva, lasciando solo gli elementi architettonici che servivano alla chiesa.
In pratica la chiesa già esisteva e si trovava già nel luogo esatto in cui doveva essere, bisognava solo togliere tutto quello che non serviva.


La scoperta di tale scelta architettonica mi ha stupito tantissimo, ma c’era allo stesso tempo qualcosa che mi lasciava perplesso, mi rendevo conto che questo principio non mi era nuovo, ero certo che quest’idea l’avevo adottata e usata più volte ma non ne ricordavo il contesto.

Alla fine capii che erano addirittura due i contesti in cui io usavo lo stesso principio.

Partiamo dal più semplice, l’associazione con il principio zen di liberare la mente è abbastanza ovvio, si tratta di togliere dalla nostra mente tutte le idee superflue, i concetti trappola, i pensieri inutili, che creano una rete nella nostra mente e non permettono pertanto ai pensieri “puri” di fluire liberamente, non permettono di avere una apertura ed una predisposizione mentale.
In pratica la capacità di sapere accettare gli eventi della nostra vita, qualsiasi essi siano, è già dentro di noi, si tratta solo di togliere tutte quelle idee che non ci permettono di viviere serenamente, si tratta di aprire la nostra mente, lasciando correre i nostri pensieri.



Seconda analogia.
Siamo abituati a pensare che, durante un combattimento qualunque o durante la pratica di un arte marziale, l’attacco o meglio ancora il contrattacco, debba essere necessiariamente un “colpo” da sferrare all’altra persona.
Ad onor del vero, spesso è così, ma non sempre, almeno per me.
Sto studiano ultimamente una tipologia di allenamento, molto orientata alle sensazioni, cerco, attraverso un contatto con il partner, di capire dove si concentra la sua forza, e di conseguenza cerco di sfruttare questa sensazione per portarlo in una situazione di squilibrio, senza mai perdere il contatto.
Si arriva così a creare una situazione di stallo, una situazione di equilibrio in cui Uke e Tori formano una struttura unica, ma mentre Tori sarebbe in equilibrio anche da solo, Uke non ha un suo equlibrio, e lo trova poggiandosi sul punto di contatto che c’è tra i due, caricando tutto il suo peso su questo punto di contatto, ma per lui tale contatto è passivo, non ne è padrone, ma schiavo, in quanto è l’unica cosa che lo separa dalla perdita totale dell’equilibrio.

Per Tori invece, che è in perfetto equilibrio, tale punto di contatto è attivo, ne è padrone, perchè sarebbe in equilibrio con o senza quel contatto, ed ecco che gli basta “togliere” qualcosa per finire il suo contrattacco, la sua tecnica.



"Non è tanto importante cosa mettiamo o cosa togliamo, quello che conta di più è ciò che lasciamo..."